Separazione

La stanza è vuota, a parte loro due. E’ notte e lei sta male, non ha timore di confessarlo, almeno a se stessa. Preferisce rimanere al buio. La luce denuderebbe la crudeltà del suo malessere, finendo per smascherare il falso coraggio che le serve per andare avanti.
Tu guarda, sussurra in tono di protesta. Siamo sempre stati bene, io e te. Fin dall’inizio. Sempre. Sei stato mio dal primo giorno. E ora…
Si interrompe. Sospira. Scuote la testa, benché nessuno possa vederla. Il buio protegge. Il buio nasconde.
E ora ci separiamo, prosegue la donna, trattenendo un tremito che sente affiorare nella voce.
Già. Proprio un gioco del destino. Un bello scherzo davvero.
Se di scherzo si è trattato, però, nessuno ride. C’è solo silenzio, il ronzio dei neon accesi in corridoio, la brezza settembrina che scuote gli alberi oltre la finestra.
Credi che a me faccia piacere stare qui?, domanda con stizza la donna. Stavolta è sul punto di crollare.
Eh? Credi che mi faccia piacere?, insiste. Ma non riceve risposta.
Io odio questo posto. Lo odio. E odio anche me stessa, se è per questo. Odio questo posto fin da quando in cui ci è morto mio padre. Mi ricordo tutto di quel giorno, sai. Anche gli odori. Uno dei miei rimpianti più grandi è che non potrete incontrarvi, voi due. Lui era straordinario. Ti sarebbe piaciuto.
Una lacrima guizza sul volto ma lei è lesta ad asciugarla con la manica, appena prima che cada. Tira su col naso. Sente il crollo dietro l’angolo. Troppo vicino. Si fa forza.
Ho fatto tutto quello che ho potuto, per trattenerti. Ma tu no, non ne hai voluto sapere. Preferisci andartene. Piccolo vigliacco. Mi fai una rabbia.
Lui non risponde. Si muove appena, in silenzio, ma forse solo nella sua immaginazione. Fuori le luci ronzano. Qualcuno cammina con passi rapidi, strascicando i piedi. Ciabatte di stoffa su linoleum, il rumore è quello.
Ma perché non mi rispondi? Dio santo, perché non mi rispondi?, protesta lei, esasperata.
Lui si muove un poco, con rabbia. A quest’ora non vuole disturbi. E’ troppo presto, non è neanche l’alba.
Lei invece piange, non si trattiene più. Tanto nessuno può vederla. Dio santo, mormora. Solo questo, e lo ripete con insistenza. Non dice altro. Non si aspetta più che lui le risponda. Osserva le tenebre farsi violacee fino a ingrigire. Il vento si placa per qualche motivo. Lei finisce di piangere, aspetta soltanto.
Signora, dice una voce alle sue spalle. L’infermiera.
La sala operatoria è pronta, aggiunge.
La donna si alza con un sospiro. Indossa la vestaglia, si carezza il ventre gonfio e turgido.
Coraggio, piccolo, dice sottovoce, perché nessuno senta.
Poi s’avvia nel corridoio, sotto i neon, senza chiudere la porta.


(18 marzo 2017) 



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