ALGIDA? NO, NON E’ UN GELATO. Ovvero, l’inverno nelle canzoni dei Pink Floyd.
Avete mai
pensato che nella musica possano esistere implicazioni meteorologiche? No, non
sono impazzito, non ancora, almeno. Datemi il tempo di spiegarmi. Non cerco di
sostenere che la musica possa evocare la pioggia, più di quanto non possa fare
Brunetta se si mettesse a ballare la milonga al ritmo di 300 battiti per
minuto. Se sperate di ricavare dal vostro orticello un quintale di pomodori
belli maturi, e alla bisogna vi servono almeno due anni luce di bollente sole sahariano,
sarà inutile far suonare O sole mio a
tutto volume ché, tanto, detto tra noi, mi risulta che la citata Stella sia un
tantino lontana per potervi prestare orecchio.
No, niente di
tutto questo. La musica non ha alcuna influenza nota sulle perturbazioni, sulle
correnti o sul clima in generale. Però ha il potere di evocare atmosfere che, a
seconda dei casi, possono assumere caratteristiche più invernali o più estive.
Vi rassicuro nuovamente: non sono impazzito. Ci sono canzoni che mi fanno
venire in mente montagne innevate, piogge autunnali, umide nebbie; e altre, al
contrario, che sono capaci di condurmi in un mood leggero e soleggiato, dove le api ronzano pigre al sole e le
cicale se la cantano beate, che tanto a lavorare ci pensano le formiche, miserande
tapine. Che poi chissà che avranno da cantare, quelle sfaccendate.
Faccio un esempio,
uno soltanto. Se ascolto la Sonata al
Chiaro di Luna, di quel losco figuro che era Beethoven, non mi viene altro
che da pensare all’inverno; anzi, mi
sento in inverno, malgrado io sia in spiaggia e mi stia squagliando come un
ghiacciolo in un forno pakistano. Se invece ascolto la Primavera di Vivaldi, scenderò a cercare le pinne in cantina anche
se siamo a gennaio, e uscirò in bicicletta facendomi beffe dei tre metri di
neve che, così dicono, si ammassano di fuori.
Qui il Beethoven invernale: https://www.youtube.com/watch?v=5-MT5zeY6CU
Qui il Vivaldi estivo: https://www.youtube.com/watch?v=5Eaxcioiy2w
Ecco. Essendo
io un accanito sostenitore del gruppo rock più invernale che si sia mai udito
sull’orbe terracqueo, non posso fare altro che deliziarvi con una piccola summa della loro arte siberiana, direi
cristallina come il ghiaccio. Con una sola raccomandazione: per immergervi
appieno nelle bufere e in ogni sorta di cataclisma che vi sarà presentato, vi
prego di ascoltare i brani agli intervalli segnalati.
Pronti?
* * *
Cominciamo dal terzo posto.
Medaglia di bronzo, un pezzo d’autunno inoltrato. Atom Heart Mother, intorno all’inizio. Mentre la suite si dipana è consigliabile figurarsi
un sentiero di foglie secche che si inoltra in un rosseggiante bosco di faggi.
L’odore è quello della terra bagnata, il brivido frizzante tipico di ottobre e
gli ultimi raggi di sole che filtrano vermigli tra la vegetazione. E’ un tripudio
che sa di antico, e che consiglia di tornarsene presto a casa a riscaldarsi le
ossa e a farsi un goccetto.
Atom Heart Mother: rabbrividite senza complimenti dal minuto 2,52
al minuto 5,25.
* * *
Secondo posto e medaglia
d’argento: l’intero disco Animals,
con ineguagliabili picchi di gelo polare in alcune delle sue canzoni. E’ un
freddo glaciale, quello che si potrebbe provare dovendo attraversare, in pieno
inverno, la cordigliera delle Ande con un triciclo. Praticamente un’impresa
senza speranza. La vetta assoluta di questa ecatombe, dovendo scegliere, è la
seguente:
Sheep: disperatevi senza vergogna dal minuto 3,53 al minuto 7,12.
Dallo stesso disco anche un
fulgido esempio di zero cosmico, dove non siamo in inverno, ma proprio a
Mordor.
Dogs: chiedete soccorso dal
minuto 8,01 al minuto 11,58.
* * *
Il disco più invernale di tutti? Wish you Were Here. Ascoltarlo equivale
a ritrovarsi nudi e rigidi come stoccafissi nel pieno della brughiera inglese,
a febbraio, dopo una cruenta notte di tempesta. Le atmosfere siderali dei
sintetizzatori, gli algori dei corni inglesi e dei clavinet, vi faranno
precipitare in un gelo brutale, di quello che si doveva provare nei freddi
castelli medievali dove, oltre a battere i denti per gli spifferi, si crepava
per una febbre o uno starnuto. Terribile. Esempi concreti di questo
winter-rock? Eccoveli.
Shine on You Crazy Diamond pt. 1-5: tremate senza ritegno dal
minuto 3,50 al minuto 7,33.
Welcome to the Machine: invocate un fuoco qualsiasi, fosse pure un
fiammifero, dal minuto 2,21 al minuto 3,59.
Shine on You Crazy Diamond pt. 6-9: l’apoteosi del maltempo, il
trionfo dei menagramo, dal minuto 9,01 al minuto 12,20. Una Capo Horn della
musica. Il rock non ha mai raggiunto temperature tanto marziane.
* * *
Non so se avreste fatto altre
scelte, probabilmente sì. Io ho selezionato le mie preferite. A supporto della
teoria appena esposta non posso fornire prove ma solo la mia immaginazione e
qualche data. Praticamente tutti i dischi più importanti, citati e non, di
questa algida band sono stati pubblicati nel tardo autunno o in inverno. Atom Heart Mother (ottobre 1970), Meddle
(novembre 1971), Animals (gennaio
1977), The Wall (novembre 1971). Fa
eccezione Wish You Were Here,
pubblicato nel settembre 1975 ma registrato quasi interamente nell’inverno
precedente. Se poi alle date si aggiunge il carattere cupo e ombroso degli
inglesi, beh… mettetevi il cappotto, serrate le finestre, e buon Natale!
Brrrrr!
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